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L’assurdo è che mi sono svegliato questa mattina facendo un pensiero antico per me. Andiamo per gradi. Siamo d’accordo che la canzone è un’espressione artistica che unisce musica e testo? La musica parla al cuore delle persone di qualsiasi lingua. Ok e quindi, se uno non capisce il testo ma mi spiegate voi che cosa apprezza della canzone? Ne apprezza metà, le atmosfere e quel povero cristiano di cantautore che ha sbattuto magari un mese di fila la testa al muro per cercare la parola per far quadrare il cerchio? Lavoro a vanvera direi, tanto non abbiamo capito niente dell’intero testo…anzi spesso neanche lo abbiamo ascoltato. Le parole diventano musica…mah! Qualche giorno fa ho visto un concerto di The Niro: bellissimo come sempre, una voce che non sta su questa terra. Poi un’amica, fuori, esplode in un impeto di entusiasmo e mi dice: “No vabbe, l’inedito di Buckley che ha cantato prima è da brividi”. Ed io: ma tu hai capito di cosa parla? E lei. No. Ok. Però è da brividi.
Quindi amici miei, ma di cosa parliamo quando diciamo che un disco (straniero di cui non capiamo la lingua) ci è piaciuto? Ma voi avete mai letto un libro di poesie in russo? O in cinese? Non so se ho saputo spiegare il mio cervellotico pensiero ma ecco, io trovo che quelli che come me (cioè il 90% delle persone) che non capiscono bene l’inglese, dimostrino un gusto davvero incompleto per non dire ipocrita della musica. Io se non capisco che mi stai dicendo, godo solo a metà anzi mi annoio profondamente. Devo avere i testi scritti, tradurli, se no boh, leggo una poesia in russo e dirò che è fantastica. Uguale. Perché vi ho raccontato questo pensiero cervellotico? Perché questo disco di Daniele Faraotti lo trovo geniale. Un’arma vincente di cui mi servirò spesso d’ora in poi per mettere al muro la mandria di ipocriti che dicono di capire le canzoni. Ebbene perché lui, se non ho capito male (ci stava benissimo) ha fatto un disco di inglese grammelot…la filosofia di questo lavoro è meravigliosa: tracce che lasciano spazio principale agli appunti, come dire, alle prime stesure, alle improvvisazioni, una voce che appunto fa il verso all’inglese cercando di catturare soluzioni melodiche, testi nonsense e beat loop improvvisati… un disco geniale.
Ed infatti nell’unica traccia che sento in italiano dal titolo Sea Elephant, una sua vecchia incisione del 2005 oggi rielaborata in tanti aspetti, decisamente beatlesiana mi sia concesso di dirlo, per quanto il testo abbia sicuramente un non senso di fondo, comunque mi ancora ad una struttura che codifico e mi fa perdere il fascino del disco totalmente anarchico e quindi libero da regole e previsioni (complice anche gli arrangiamenti e un po’ tutto il brano che sembra meno “istintivo” e più “ragionato” degli altri). English Aphasia teletrasporta in mondi assurdi, dalle incerte stesure acustiche di Vic Chesnutt alle più visionarie incisioni di Beck, il tutto senza soluzione di continuità, anzi mantecando il tutto con un ascolto (che secondo me avrà davvero maturato) di sano progressive anni 70. Rock progressivo inglese sopra ogni cosa. Un disco che ho paura di elogiare troppo, ho paura di capire male, un lavoro che va assolutamente approfondito; una di quelle cose che sfiderà le ipocrisie di massima e le estetiche educate dal commercio. Insomma: fermiamoci prima di aprire bocca e fare i saccenti. Ed io non sono da meno, dunque oltre queste righe di superficie, ad ora, non mi permetto di dire.
L’ultimo disco che ho comprato è l’opera di Luciano Cilio, sono sicuro che il nostro Faraotti saprà di cosa parlo. Dunque, complice questo debole per i pensieri anarchici e le avanguardie, affascinato dall’espressione guidata solo dall’istinto e non dalla forma, sono portato a chiedermi quanto grande sia il mondo che c’è dietro English Aphasia. Secondo me è un disco geniale, ma anche qui, come quando scavo la fossa ad altri dischi, il mio pensiero lascia il tempo che trova e non vuole condannare né mitizzare nessuno. Spero solo di non aver capito fischi per cicale (che è molto peggio che confonderla per sotterranei). Liberi…c’è lo ha insegnato anche Claudio Lolli, sempre, anche nel suo ultimo disco. E ora so benissimo che Daniele Faraotti sa di cosa parlo. Davvero un bel disco.
Paolo Tocco

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